Nando Gallo

Articolo tratto da "La Stampa"



Articolo della Stampa
08/09/2014
Vesime
Dopo una vita passata con la valigia in mano, a girare per il mondo, come tecnico di impianti elettrici per le vetrerie, Ferdinando Gallo, («Nando» per gli amici), ha scoperto una grande passione: far conoscere e valorizzare la pietra di Langa. Per anni ha trasformato pietre di diverse dimensioni in volti di persone, della mitologia, maschere e vari generi. Nelle ultime settimane, però, si sta impegnando in una nuova idea artistica: la realizzazione di alcune stele antropomorfe. Dalle ricerche storiche, effettuate dal professor Grimaldi, rettore dell’Università di Pollenzo, sul territorio della Langa, è stato possibile accertare che a Vesime(AT), alcuni secoli fa, di queste stele, raffiguranti l’uomo e la donna in gravidanza (simbolo della fertilità) ne esistevano diverse in quanto venivano utilizzate come pali di testa nei vigneti. Con il passare degli anni, quasi tutte sono purtroppo andate perse e l’unica coppia recuperata, dopo es¬sere stata catalogata ed esposta in varie occasioni, tra le quali a Terra Madre ed al Museo di scienze Naturali di Torino, si trova adesso nel Museo della pietra di Langa a Vesime che pochi anni fa il Comune ha realizzato. «Quest’ estate - racconta Gallo - sono andato alla ricerca di queste pietre, nelle vallate e nei rii e ne ho trovate alcune che, per la loro conformazione, erano ideali per essere trasformate in stele. Si tratta di esemplari - per l’esattezza sei - alti oltre 2 metri che pesano dai 200 ai 400 chili». Dopo averle recuperate con tutta la precauzione possibile, ripulite dalle piccole scorie, Ferdinando ha iniziato a scolpirle. «Così, dopo due mesi di lavoro - continua - le sei pietre sono diventate 3 coppie di stele. Quelle maschili raffigurano volti di antenati o uomini dell’antichità, quando i contadini per la fatica e la loro “vita grama” invecchiavano presto ed avevano una corporatura filiforme. Le femmine, invece, sono tutte simboli della fertilità in quanto raffigurano donne in vari stati della gravidanza». Per ora i sei esemplari fanno parte della collezione di Ferdinando, con tante altre, di diverse dimensioni che ha realizzato in questi ultimi anni. Per chi lo desidera, molte delle sculture realizzate, tutte di rara bellezza, sono visitabili nella sua abitazione in Reg. Travazza, 11, (telefonare al n. 348 5632442) o consultabili sul sito www.nandogallo.it

OLDRADO POGGIO

Articolo tratto da "L'ANCORA"



Acqui Terme.
È senz'altro piena di suggestioni la mostra di scultura che la Galleria Chiabrera di Via Manzoni ospita, purtroppo, solo per una settimana. Sino a Pasqua. Essa raccoglie alcune realizzazioni di Ferdinando Gallo, artista di Vesime, che solo recentemente, all'età della pensione, ha scoperto la pietra locale. Una mostra da vedere. Ma anche da fotografare. Estremamente curata anche nell'allestimento. Con le luci che valorizzano, a pieno, le linee dei volti, il profilo dei busti. Ecco Zeus, ecco Dante; il Cristo, i visi delle donne… Una mostra particolare. Con la pietra, con la sua forma, con le sue caratteristiche, che dettano, condizionano, guidano il conseguente lavoro dell'uomo. E' la natura l'artefice prima. Semmai, al mortale spetta solo rifinire. Una mostra che sarebbe piaciuta, naturalmente, a Cesare Pavese. Che scriveva, nel 1928, "in nessun luogo trovo più una pietra". "Dal primo giorno ardente / che ho levato la fronte a cercar me stesso, / in nessun luogo più / ho trovato una pietra…". Una paese ci vuole, dunque. Ma anche una pietra. […]

Ferdinando Gallo ha anche restituito alla comunità di Vesime una delle due "divinità antropomorfe" (ritrovate a fine Ottocento) che ignoti hanno tempo fa trafugato. Divinità la cui origine, ricostruita dall'antropologo Piercarlo Grimaldi, va unita ad una indubbia suggestione, che ha fruttato ai due totem, maschio e femmina (quest'ultima rigenerata, ma da un blocco d'arenaria vecchio di alcune decine di migliaia di anni) una invidiabile fama. Che ha condotto tali esempi di arte povera prima in Toscana, e poi al subalpino Museo delle Scienze, e al Salone del Gusto - Terra Madre di Torino. Davvero una pietra ci vuole. E anche una certa aderenza al dettato "dei vecchi". Tradurre significa anche tradire. E allora, forse, la raccomandazione allo scultore della pietra di Vesime potrebbe essere proprio quella di non "troppo rifinire". Perché anche il dialetto, quando ambisce a diventare troppo letterario, perde - inevitabilmente - la sua freschezza. G.Sa Così il prof. Riccardo Brondolo presenta la mostra di Ferdinando Gallo, in Galleria Chiabrera, nella Pisterna d'Acqui. Le pietre di queste colline, da sempre una sfida e un cimento: scaffe, sgorbiate dalla Bormida e dai suoi torrentelli, lungo i vallotti tortuosi, da fasce e terrazzamenti sorretti da quegli stessi massi che l'improbo terreno offriva irridente, man mano che la zappa o il piccone lo violavano.[…]

Quel messaggio di fede nella consapevolezza dell'uomo, a continuare la sua storia, lo ha raccolto qui a Vesime, da qualche anno, uno spirito appassionato, un professionista che, fino a ieri, aveva trovato la sua traccia elettiva nella tecnologia industriale e nelle manifatture vetrarie. La silice brucia, e per amore, sì ingentilisce nel vetro. Libero dal pressing del lavoro, Ferdinando Gallo ha cominciato a girare per forre e riali, lungo il greto del fiume e dei torrenti, alla cerca di quelle tenere arenarie, di quegli ostici tufi_=A6 Riccardo Brondolo

NANDO GALLO - Opere in pietra di langa

Volti di pietra

Articolo tratto da "L'ANCORA"


Nando Gallo: le arcane parole della roccia



Le pietre di queste colline sono da sempre una sfida e un cimento: scaffe sgorbiate dalla Bormida e dai suoi torrentelli, lungo i vallotti tortuosi, da farne fasce e terrazzamenti sorretti da quegli stessi massi che l'improbo terreno offriva irridente man mano che la zappa o il piccone lo violavano. Rocce stratificate, a fornire, pur con rischio e fatica, materiale edilizio anche migliore a chi non possedeva l'argilla per i mattoni né il copioso legname di altre terre: ma che incombevano paurose sui sentieri precipiti. Tufi azzurri, disperazione dei puzaté che ne scoprivano la vena maligna quando l'acqua, sognata e promessa dal rabdomante, pareva ormai prossima. Stele di arenaria, che s'offrivano tra gli strati, atte a sostituire con profitto di durata, se estratte con cura, i pali di testa in legno dei filari. Quando gli morì la madre, Nando si trovò quasi per caso tra le mani una stele come quelle, strappata dall'aratro ad una costola di campo inviolato. La sua mano, guidata da arcane congiunzioni di attenzione curiosa e di astri benigni, carezzava quella pietra dissepolta, ne palpava i contorni, ne traeva suggestioni e proposte di insospettabile dolcezza. Il volto della madre, assorto e benevolo, triste e mansueto era lì, sotto una velatura ingommata si arene e di silice che bastava rimuovere. Così fu che anche per lui, com'era successo tre, quattromila anni fa, alla funzionalità meramente pratica, tesa a soddisfare e controbattere con la pietra i bisogni e le paure primari, si andò associando una variante, diciamo così, lirica: rozza fin che si vuole, ma lirica e affettuosa: e su quelle stesse stele che, lì accanto, sorreggevano el fì 'd ramein- e le viti, lo scalpello e la sgorbia indugiarono a scolpire il volto materno, come un tempo i simboli della fertilità e dell'amore.

La sua confidenza colla pietra s'era andata intanto affinando, accompagnandone gli studi scientifici. La via maestra, dura ed impervia - quella che la vita impone a chi vuol rispettare se stesso -, lo aveva condotto, di sacrificio in sacrificio, di successo in successo, a divenire un piccolo mago dell'elettronica industriale. Ecco: occorreva allora fissare le cose belle, quelle che ti capitano accanto e il tormento che seguita loro, in una forma definitiva: che, oltre a riprenderne le fattezze, le cogliesse nel momento più intimo e struggente, a farne un viatico oltre la morte: su tutto, la vita che si perpetua nel gravido grembo femminile; accanto, il presidio dell'uomo e del Dio, complice a quel miracolo. Sono nati così, quando il corso dei suoi anni cominciava a declinare, i volti di pietra di Nando, a contraddire la sterilità della vecchiaia, a ridere in faccia alla morte, con dolcezza e con protervia. Il suo mondo di dei, di eroi, di donne dolci e ruvide; la grazia agreste delle fanciulle; le umili figure della sua gente, le loro ribalde facce ridenti: tutto ha il sapore antico del motto medioevale: "E bello doppo il morire vivere anchora". Certo, come ogni poeta, come ogni artista Nando sa che la "cenere degli astri" assorbirà nella sua cipria molecolare tutte le opere dell'uomo. Non solo le sue pietre, ma anche le opere dei grandi che lo hanno ispirato: come quelle di Cesare Pavese, con le sue lune, falò e fanciulle di collina, che hanno suggerito a Nando la splendida "Forme e stilemi pavesiani nel crescente di pietra", attualmente in mostra a Santo Stefano Belbo. Ma c'è uomo e Uomo: quest'ultimo, è quello che non rinuncia mai, che oppone il lampo della follia al verziere quieto della ragione; che si offre al mistero come cavia e come demiurgo di un mondo altro, "nelle spore del possibile". I piccoli uomini deboli, i rinunciatari, gli ignavi si tengano le loro figurine di pongo, le barche in bottiglia, le schedine del totocalcio, gli almanacchi pirelli. Si tengano le loro rinunce, i loro "a l'è questiòn- 'd nent pièsla, ed nent pensèie...", le loro giornate senza storia, le loro notti senza sogni. La roccia scolpita di Ferdinando Gallo riderà loro in faccia, per secoli ancora...
Riccardo Brondolo



Articolo tratto da "La Stampa"



Biografia



Foto Ferdinando Gallo Da circa cinque anni, nel tempo libero da altri impegni, Gallo Ferdinando si dedica a scolpire pietre, tufi e arenarie di Langa. Usa pietre che trova nelle cunette, nei torrenti, nel fiume e nei campi. Secondo studiosi la formazione di queste pietre risale a 30-40 milioni di anni fa. Sono di varia durezza e consistenza e adatte per ubicazione all'esterno. La lavorazione viene eseguita tutta manualmente con martelli e scalpelli. Ad oggi le realizzazioni sono oltre centocinquanta e riguardano: animali e mascheroni vari figure religiose, segni dello zodiaco, volti di persone care e volti della mitologia. Inoltre, una delle opere più significative realizzate è una figura femminile gravida, su una stele alta circa 1,8 m, per riformare la coppia esistente fino agli anni 90. (Fino al 1960 circa, infatti, esistevano diverse stele che fungevano da pali di testa nella vigna Camungein di Vesime (Asti). Poi è rimasta solo una coppia con maschio e femmina. Negli anni 90 la statua femmina è scomparsa). Nel 2008 la coppia di stele è stata esposta per un mese al Museo di Scienze Naturali di Torino, e poi ad Asti, nel periodo del Festival delle sagre del 2010. Successivamente la coppia è stata esposta a Roma in occasione dell'apertura del centro EATALY alla stazione Ostiense. Nel 2010 l'associazione "Visma" di Vesime ha gentilmente ospitato le prime realizzazioni di Gallo nei suoi locali. In Aprile 2011 si è tenuta ad Acqui Terme, a Palazzo Chiabrera, una mostra con circa 30 opere.